Il giorno dopo la seconda convocazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, nella quale si doveva votare il documento del relatore Augello (PDL), il quale, durante la prima seduta, aveva cercato di proporre delle pregiudiziali rispetto alla legge Severino ed alla sua applicabilità, tentando di non arrivare ad una votazione sulla incandidabilità di Silvio Berlusconi, condannato nei tre differenti gradi di giudizio, previsti dalla legge italiana, a 4 anni di reclusione per frode fiscale, ma ad una dilazione nei tempi del dibattito, nell’attesa della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, alla quale gli avvocati di Berlusconi hanno presentato ricorso contro lo Stato Italiano, nell’attesa di un eventuale ricorso alla Corte Costituzionale, alla quale per il momento sembra non sia ancora stato presentato alcun ricorso, nell’attesa insomma che succedesse qualcosa: e qualcosa è successo!
Una frase dal Quirinale: bisogna «rafforzare i pilastri della convivenza nazionale o tutto può essere a rischio», pronunciata dall’ineffabile Giorgio Napolitano, l’ottantottenne Presidente della Repubblica Italiana, ha cambiato l’inerzia del procedimento. Non si vota come sembrava sino al giorno prima contro il documento del relatore del PDL, ma si prosegue ad approfondire e valutare le questioni che da pregiudiziali sono diventate preliminari prima di decidere se Berlusconi deve restare Senatore o meno.
Prima la nomina di un governo dei tecnici, con Monti, poi in piena campagna elettorale il monito ai giudici di non limitare il leader del PDL, successivamente, dopo aver umiliato Bersani, la costituzione del comitato dei Saggi e ancora, dopo essersi fatto rieleggere, l’invenzione del Governo delle grandi intese a guida Letta; e adesso questo nuovo intervento a gamba tesa per tentare di salvare un pregiudicato da una inevitabile decisione.
I casi sono due o siamo in mano a un dittatore che decide, indipendentemente dalla volontà dell’elettorato e della Carta Costituzionale, chi Governa, quale sia l’agenda politica e chi mandare o meno in galera o siamo in mano a una persona ricattata che non può fare a meno di prendere iniziative decise da altri, magari da un solo altro!
Ebbene in entrambe i casi ci sarebbero le condizione per chiedere l’impeachment, quale unica valvola di sicurezza per garantire la democrazia contro un abuso di potere politico di una alta carica dello Stato o contro la sua corruzione o ricattabilità.
Perché il nostro è un paese sotto ricatto, è ricattato da una persona sola che ha i mezzi economici per farlo e li ha usati per creare un partito, per prendere il potere e, ce lo dicono i fatti di questi ultimi decenni, per mantenerlo a scapito dell’Italia e degli italiani, anche se non tutti paiono capirlo.
La liberazione, quella vera, da questa morsa mortale potrà avvenire solamente eliminando questo male che ha riempito le stanze del potere di stipendiati pronti a rispondere a comando. Gli unici che sembrano capirlo e che lottano per farlo sono i deputati e i senatori del M5S che ogni giorno denunciano le malefatte di questo esecutivo dei Presidenti (quello ufficiale e quello che lo manovra), nonostante in tutti i modi si cerci di tappare loro la bocca.
Prima o poi si arriverà ad un’altra tornata elettorale e nonostante i sondaggisti «di regime», anche loro devono pur mangiare, rappresentino nei loro sondaggi, come al solito, un testa a testa tra i due partiti PD e PDL, riuniti oramai nel partito unico del Presidente, non ci saranno più così tanti italiani disposti a mettere la testa sotto la sabbia. E forse terminerà l’epoca dei ricatti e inizieremo ad affrontare i problemi degli italiani.